What street art in the Mediterranean Border Zones reveals is the contingency of the border through the practices taken across and around them. Border practices succeed in making a border out of a fence, a wall, and blockade, a ditch, thus their ephemerality. In these global contact zones, street artists comment on, address, criticize, satirize, or subvert hegemonic discourse. This street art explicitly positioned in the border zones, those on the margins, particularly the undocumented and invisible, are likely inscribed in the consciousness of the cities where their struggles might be made more visible. Street art, then, has the potential not only of calling into question the spectacle of the crowded raft carrying de-individuated masses as a set of images but rather as the social relationship between people (natives/foreigners, migrants/non-migrants, self/other) mediated by images of the crowded raft.
Ciò che i murales trovati in diversi luoghi delle città di confine del Mediterraneo rivelano è la contingenza del confine, attraverso le pratiche intraprese su e intorno ad esso. Si tratta di pratiche di frontiera che riescono a mostrare l’effimero del bordo di una recinzione, di un muro, di un blocco, di un fossato, perché, in queste zone, gli artisti di street art in realtà commentano, indirizzano, criticano, mettono alla berlina, o sovvertono il discorso egemonico. Numerose sono le opere che affrontano il tema delle forti asimmetrie Nord-Sud, asimmetrie dell’economia globale e della politica di mobilità, che si riversano nei mondi dell’arte; ma la street art esplicitamente posizionata nelle zone di confine è probabilmente iscritta nella coscienza delle città dove le lotte si rendono più visibili. Questi murales non mostrano solo un’immagine, ma un rapporto sociale (nativi/stranieri, immigrati/non migranti, sé/altro) mediato da immagini.